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Paolo Cazzato, una vita di tocchi e affondi

CAZZATO
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Un fioretto in mano, la maschera a proteggere il viso, quasi un secolo di vita sulle spalle e un certificato medico “ritoccato” per aggirare l’ostacolo dell’età e poter ancora, a 92 anni, lanciarsi con il paracadute. Questo è Paolo Cazzato, non “un” maestro qualunque, ma “il” maestro di scherma per antonomasia sul territorio salentino.

La sua storia inizia quasi 80 anni fa quando, adolescente, si innamora per la prima volta. E non di una ragazzina, ma di una spada. Quella che impugnava il suo insegnante di educazione fisica che, durante una lezione, chiese ai suoi studenti chi fosse disposto ad usarla, invece di rincorrere un pallone. Solo Paolo alzò la mano, impugnando quel fioretto che ancora oggi, in un angolo delle Manifatture Knos a Lecce, insegna a maneggiare ai suoi allievi: giovanissimi, adulti, uomini, donne, disabili, normodotati, per lui non fa differenza. È un piacere vederlo alle prese con scriccioli alti poco più di un metro, che mette in riga come fosse ancora in caserma. E fa venire voglia di diventare la nuova Valentina Vezzali, quando, subito dopo il saluto, incalza: “hai mai tirato di scherma? No? Ti insegno io. E ricordati che si inizia sempre con il fioretto, è quella la base per imparare le altre specialità. Oggi insegnano tutto insieme, ma ai miei tempi bisognava farle gradualmente le cose, non c’era improvvisazione. Frequentavo l’Istituto Magistrale di Lecce quando ho impugnato il fioretto per la prima volta: il mio insegnante di educazione fisica era Ezio Treggiari (padre del surfista Luciano) e aveva questa passione per la scherma. Un giorno arrivò con il fioretto in mano e tutti noi ragazzi lo guardammo incuriositi. E chiese se qualcuno volesse provare…”.

E allora la scintilla, quando scatta, accende fuochi difficili da spegnere. Fuochi che ardono per tutta una vita, convivendo con la quotidianità. “A 18 anni mi sono arruolato in Aeronautica dove c’era una squadra di scherma che partecipava ai campionati italiani interforze. Sono entrato a farne parte e dopo tanti anni di fioretto ho impugnato per la prima volta una sciabola, perché lo avevo visto fare a un generale, e ne ero rimasto incantato. C’erano i fiorettisti, gli spadisti, e poi c’ero io: mi chiamavano ‘lo sciabolatore dell’aeronautica’.

Partecipavo a tutte le competizioni, dove c’era da gareggiare io c’ero, ma in tanti anni di attività”, ricorda e racconta, “non sono mai salito sul podio. Il miglior piazzamento l’ho ottenuto in un campionato italiano militare interforze; eravamo in centinaia, appartenenti a tutte le forze armate, arrivai quinto. Poi a un certo punto chiesi il trasferimento, mi ero sposato da pochi mesi e dalla Sardegna mi avvicinarono a Galatina. Ma mi mancava la scherma, e un giorno decisi di andare a trovare il mio vecchio prof di educazione fisica, che ancora insegnava. Mi chiese di dargli una mano con i ragazzini. Ho cominciato così, un po’ per scherzo e un po’ per devozione verso il mio insegnante, poi ho frequentato i corsi della Federazione all’Acquacetosa di Roma e, dopo due anni, ho preso il brevetto di istruttore regionale di 1° livello. Per poi diventare istruttore nazionale e, quindi, maestro di scherma: era il 1962”.

Arrivò quindi una “chiamata” importante, da un altro sportivo, una vera e propria istituzione a Lecce: “Andai al Cus rispondendo ‘sì’ all’ingegner Mario Stasi”, ricorda il maestro, “eravamo molto amici, lui era stato schermidore all’università a Pisa, insieme al nonno di Aldo Montano, omonimo del nipote che, oltretutto, è stato un mio allievo ai centri federali a Zocca, che esistevano fino a qualche anno fa. Era piccolino, cominciava a giocare con la spada, e mi ricordo che lo prendevo e lo buttavo in piscina, e lui si divertiva un sacco. Mario Stasi mi raccontava che una volta stava tirando di scherma con Montano e lo colpì con una sciabolata forte in testa, perché nella sciabola si può colpire anche in testa”, racconta Cazzato senza perdere il vizio di insegnare neppure mentre risponde alle domande, “a Montano scappò una parolaccia”.

Dai tempi del Cus alla nascita della sua Accademia il passo è stato breve: “Con Mario, che il Cus lo aveva fondato, sono rimasto tanti anni, ma poi ho cominciato a desiderare di avere una società mia, ed è così che è nata l’Accademia della Scherma Lecce, che ora porto avanti insieme a mio figlio Roberto, maestro anche lui. Anche mia figlia Elena, che sta a Firenze, insegna scherma all’Accademia fiorentina. Era la pupilla dell’ingegnere Stasi, ma quando si diplomò, dopo una vacanza a Firenze, non è tornata più nel Salento”.

Racconta, quindi, della sua attività oggi, al fianco del figlio, “diciamo che è bravo… anche perché da ragazzo ha preso tante sciabolate nelle gambe, quando non mi ascoltava, per forza doveva diventare bravo”, scherza Cazzato. “Lui ha un approccio diverso con i ragazzi, ci compensiamo. Io penso che i ragazzi di oggi siano molto diversi da quelli che allenavo quando ero giovane, sono viziati, si annoiano subito, hanno troppi divertimenti. Io non vedevo l’ora di andare a scherma, perché era l’unico modo per uscire, vedere gli amici, stare fuori di casa. Ora è cambiato tutto”.

È l’unico momento di amarezza di un piccolo grande uomo che in 91 anni e mezzo, come tiene a precisare, insieme a quella per la scherma, ha coltivato tante altre passioni. Una, su tutte: il paracadutismo. “Eh sì, ormai è da maggio che non mi lancio.”, dice con rammarico. E quando gli si fa notare che l’età massima non è certo 92 anni, tira fuori il suo asso dalla manica: “c’è la questione del certificato medico, che è un problema, perché è annuale. Ma ne ho uno che mi ha fatto un po’ di tempo fa un dottore dell’associazione paracadutisti, in occasione di una gara a Salerno. Me lo fece sul momento, eravamo amici… e dimenticò di mettere la data. Così, quando voglio lanciarmi, aggiungo quella dell’anno in corso, e mi lancio. L’ultima volta hanno avuto qualche dubbio, perché zoppicavo e sull’aereo non volevano farmi salire, ma poi li ho convinti”.

E si è lanciato, impavido come sempre, “non posso atterrare sulle gambe ovviamente, perché ho i ferri alle ginocchia e me le spezzerei in due. Ma quando sono a 20 metri da terra afferro forte le bretelle del paracadute, piego le gambe e mi metto in posizione da seduto, arrivo col fondoschiena e striscio, striscio, striscio… tanto prima o poi mi fermo”.

Ti fermi? E chi ci crede più, maestro?

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