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Vergogna, libertà e carcere: il teatro come terapia di gruppo
Cronaca da Borgo San Nicola dello spettacolo a cura di #reteteatro41 e Fondazione Matera-Basilicata 2019.
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“Humana Vergona” di Silvia Gribaudi e Matteo Maffesanti, una coproduzione fra #reteteatro41 e Fondazione Matera-Basilicata 2019 è andato in scena lo scorso venerdì nel teatro di Borgo San Nicola. La replica è stata una tappa di Jumperiferie – teatro vivo nel sociale, promosso dal Teatro Pubblico Pugliese in partnership con Accademia Mediterranea dell’Attore e altri.
Accoglienza in sala calorosa, come se si entrasse a una festa. Il clima frizzante sgretola subito le aspettative di assistere a uno spettacolo dai toni contriti su un sentimento che porta con sé senso di colpa, disagio e inadeguatezza. Alcuni detenuti hanno consegnato agli spettatori delle coroncine di cartone dorate con una scritta celebrativa “happy new shame” e un foglio bianco per rispondere a una domanda: “Di cosa ti vergogni?”.
Sul palco nessun sipario né quinte, scenografia essenziale, verrebbe da dire nuda, uno schermo bianco in fondo e ai lati dei supporti in metallo sorreggono dei fari a neon. Entrano in scena Antonella Iallorenzi, Ema Tashiro, Mariagrazia Nacci, Mattia Giordano e Simona Spirovska, corpi quasi nudi coperti solo con una pelliccia, abbigliamento dal sapore primordiale, che evoca istinti primitivi, di sopravvivenza. E il corpo diventa narrazione tra danze e gesti carichi di espressività, sguardi e mimica facciale.
Dalle vergogne più intime, pianto e flatulenza, a quelle collettive, come intolleranza e pregiudizi. E poi le vergogne che risiedono nella memoria di ciascuno, il racconto di episodi di vita: una madre che umilia la felicità di una figlia sottolineando solo i difetti, il sangue sulle lenzuola dopo aver fatto l’amore per la prima volta, il bacio dato a una persona dello stesso sesso, il marchio “vergogna della famiglia” o i giudizi mortificanti sulla forma fisica. “Questa non è la mia storia”, dicono i performer alla fine di ogni aneddoto “Questa è la tua storia”, perché ognuno può ritrovarsi e riconoscersi. C’è un dialogo continuo con il pubblico, gli attori si rivolgono agli spettatori durante l'esibizione, ponendo implicitamente o esplicitamente delle domande, con ironia, umorismo e senza retorica, la vera forza della perfomance.
Arriva il momento in cui il pubblico prende parola, come fosse una terapia di gruppo, dal palco arriva l’invito a dichiarare le proprie vergogne attraverso la formula “Non mi vergogno di dire che”. Ciascuno confessa le sue, dalle più intime a quelle socialmente inaccettabili. Un detenuto ammette con coraggio, un pizzico di orgoglio e voce ferma: “Non mi vergogno di dire che mi trovo qui” annullando la distanza tra “dentro” e fuori, annientando la vergogna della colpa. Si guarda oltre, “andiamo avanti” ripete l’attrice Simona Spirovska per cambiare scena, argomento, oppure per non soffermarsi troppo sulle fragilità umane. La dimensione privata è diventata pubblica, sale la voglia di alzarsi, spogliarsi e danzare.
La vera festa può cominciare. Coroncine sulla testa, sulle note di “Dancing queen” degli ABBA i re e le regine della vergogna celebrano un nuovo inizio. La rinascita è scandita da un gesto simbolico e liberatorio: il lancio sul palco del foglio accartocciato con l’elenco delle proprie vergogne. Liberi da sensi di colpa, liberi da giudizi, liberi da convenzioni.