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L’acrobazia dell’apostolo

CALZE
Tempo di lettura: 6 minuti

DI DARIO QUARTA | ILLUSTRAZIONI: MARTA SOLAZZO





“È la Pasqua più brutta della mia vita!”.
Erano appena iniziate le vacanze e già aveva emesso la sentenza, all’ora di pranzo di quel Giovedì Santo. All’inattesa comparsa, a casa, di una scatola di scarpe.
Si annunciava davvero una Pasqua terribile. E solo per colpa di un paio di scarpe nuove.
Non ricordava di aver detestato molto altro nella sua vita, quanto quelle “calzature” blu, comprategli a sua insaputa proprio per essere indossate nei giorni di Pasqua.
Eleganti e irritanti, ai piedi e alla vista, in pelle, con la suola di cuoio durissimo che rendeva ardua qualsiasi azione che non fosse il semplice camminare.
Erano dure, di un duro reso ancora più soffocante dalle stringhe, sottili e taglienti, che sembravano quasi strozzare il dorso del piede.
Niente a che vedere con le sue care Canguro, troppo provate dalla ludica quotidianità però, per essere sfoggiate nel periodo di festa.
Così erano loro, blu, nuove ed eleganti, le deputate alla cerimonia della “lavanda dei piedi”, in un pomeriggio di primavera e di vacanza.









C’era da “fare l’apostolo”, lì, nella chiesa vicino casa, dietro il compenso di mille lire da parte del prete. E sebbene nell’estrazione dei nomi gli era capitato Simone, si ritrovò a essere Giuda, dopo il cambio con un amico che, non accettando proprio di essere quel traditore dell’Iscariota, gli offrì in compenso una cinquantina di “giocatori” delle figurine Panini.
Belle, quelle dell’annata, stampate in orizzontale e con il disegnino caricaturizzato della mascotte delle varie squadre. Accettò di buon grado lo scambio, e così tradì Simone per 50 figurine.
Ma prima della messa, e della cerimonia, in attesa dell’apertura della sacristia e di ricevere gli ultimi dettami, com’era naturale che fosse, c’era il tempo di una partitella a pallone.
Non si usciva da casa senza un pallone. Anche con le scarpe nuove e scomode, prima di una “solenne cerimonia” e nonostante le materne raccomandazioni: “non sudare e non ti sporcare le scarpe, che devi fare l’apostolo”.
Ma, a 10 anni, davanti a un pallone, non ci sono scarpe né solennità che tengano, tantomeno raccomandazioni. E così… via, tre contro tre, la metà degli apostoli, a una sola porta: un cancello, non molto alto, ma abbastanza da rendere l’idea di una porta di calcio.
E si insaccò proprio lì quel tiro al volo, all’incrocio immaginario. Un tiro di destro, piede generalmente usato solo per permettere al sinistro di calciare.
Piede sinistro da preservare vista l’imminente cerimonia.
Chissà perché aveva dato per scontato che fosse il piede sinistro a dover esser lavato.
Da qui l’idea di risparmiarlo e di usare il destro per gran parte della partitella.
Fu un gol straordinario, in acrobazia, spettacolare e temeraria.
Almeno così deve essere sembrata agli occhi degli altri apostoli. In realtà dovuta solo a una scivolata della stramaledetta suola, quella del piede sinistro, sui mattoni in cemento.
Un pesantissimo tonfo, nascosto dagli “…oooh” di stupore degli altri, incantati da tanto coraggio e dal gesto tecnico.
E forse anche un po’ allarmati per la caduta, rovinosa, seguita da un lampo di dolore.
Svanito subito, o quasi.
Se qualcosa si era rotto, e la sensazione c’era, si doveva essere ricomposta subito visto l’immediato scatto per rimettersi in piedi, quasi non fosse successo niente.
Un miracolo insomma. E se invece non si era rotto niente… beh, era comunque un miracolo.
Magari una sorta di riconoscenza divina per la cerimonia che sarebbe andato a compire, indolenzito, coi piedi sudati e con l’alluce sinistro che, probabilmente, di lì a poco avrebbe iniziato a perforare il calzino di cotone. Beige, ovviamente. Perché sul beige, il sudato spicca.
Già immaginava la faccia del sacerdote trovatosi di fronte al piede sudaticcio, magari accompagnata dalle sicure risatine degli altri discepoli, allo spuntare dell’alluce.
Tornare a casa però, avrebbe significato sorbirsi un cazziatone.
Meglio il rimbrotto sacerdotale, senza alcun dubbio. Il perdono sarebbe arrivato prima, son fatti apposta i preti, per perdonare.
Indossato il saio di rito, seduti tutti in semicerchio sull’altare, arrivò così il momento della lavanda. E l’apprensione si tinse di terrore alla richiesta del chierichetto di “liberare” il piede destro. Stretto, costretto, pressato nella scarpa sporca, con l’alluce, quello sì, sbucato e trionfante ormai da tempo.
E… niente! Nonostante la già difficile operazione di slegatura delle stringhe, la scarpa sembrava un tutt’uno col piede, neanche le possenti mani di padre Cosimo, che si narrava avesse un passato da pugile, riuscivano a smuoverla.
Iniziavano a palesarsi i risolini degli altri, tutti o quasi con i rispettivi destri già denudati. E probabilmente dei fedeli dei primi banchi, ma Giuda, a testa bassa, non riusciva neanche a guardarli per la vergogna.
Magari tra questi ci fosse sua madre! Avrebbe potuto assistere al dramma che si stava consumando, per colpa di quelle scarpe.
Però c’era la vicina di casa, e di sicuro qualcosa sarebbe andata a dirle. Magari per una volta gli avrebbe fatto gioco quella pettegola.
Ansia, apprensione, era un crescendo di odio verso le scarpe blu e di rivoli di sudore freddo.
E in quel tutt’uno di imbarazzo, tensione, rabbia e quasi panico, ecco spuntare la sua salvezza: proprio dal primo banco. Era un bimbo il suo salvatore.
Munito di macchinina gialla, sfuggito al controllo della mamma, si avvicina alla schiera degli apostoli e alla schiena di suo fratello: “brum bruuum”… dice, spingendo divertito l’automobilina su e giù per la schiena di Simone, proprio lui.
Provocando l’ilare reazione di apostoli, fedeli, chierichetti e perfino del prete, nervoso e imbarazzato, diventato quasi paonazzo per colpa della tenacissima scarpa.
Che poi, finalmente, cedette, consentendo a Giuda, con un gesto improvviso, di sfilare il calzino sudato e bucato. Sfoggiando pure una certa nonchalance visto che l’attenzione di tutti si era spostata altrove.
E il rito si compì, il piede destro fu lavato. Con acqua inaspettatamente fredda, tanto da provocare un leggero sussulto e qualche schizzo addosso alla tunica del sacerdote.









Fu subito asciutto. La sua vestizione durò quanto quella degli altri e tutto finì lì. Con le mille lire in tasca e senza neanche la clericale ramanzina.
Due giorni altri, sarebbero durate non di più quelle scarpe: la sera di Pasqua fu resurrezione vera.
La Pasquetta, anzi le Pasquette, il lunedì con la famiglia e il martedì con gli amici in campagna, significavano indiscutibilmente Canguro, anche vecchie e zozze.
Le scarpe blu finirono nella scarpiera, prima di svanire misteriosamente nel nulla.
Ad eccezione della linguetta della scarpa destra, tagliata con rabbia e piacere, che sarebbe di lì a poco diventata la “soletta” di una fionda, bella e benedetta.
Ricavata da un ramo d’ulivo, scelto tra quelli accatastati davanti alla chiesa per la benedizione delle palme.
Proprio lì, vicino al cancello dove si insaccò quel gol in acrobazia.





DARIO QUARTA | L’autore
Dario Quarta, giornalista pubblicista, socio della Cooperativa Espera e direttore di quiSalento. Collaboratore, dal 1998, della Gazzetta del Mezzogiorno, ha collaborato a riviste culturali e pubblicazioni istituzionali. Ha scritto racconti per alcune raccolte, tra le quali: “Tu quando scadi? Racconti di precari” (Manni ed.), “Una frisella sul mare. Canzoni, ricordi e ricette da spiaggia” (Lupo ed.), “Cucinare con i piedi. Storie di cene mondiali” (Lupo ed.). Ha curato il volume “La Notte della Taranta” (Guitar ed.).





MARTA SOLAZZO | L’illustratrice
Nasce a Lecce nel 1973. Grafica e illustratrice, dopo il diploma al Liceo Artistico di Lecce ha frequentato la scuola di grafica e illustrazione a Firenze.
Con il suo tratto originale e contemporaneo ha illustrato diversi libri per bambini raccontando storie attraverso le immagini ed emozionando anche i più grandi.
Attualmente è socia della cooperativa Espera, editrice di quiSalento.


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