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L’arte, l’amore, la storia della cartapesta: i mille volti del carnevale gallipolino
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Si definiscono “malati della cartapesta” i maestri Davide Scarpina e Giovanni Pacciolla, e a guardare il carro a cui stanno dando vita si capisce il perché. Direttore artistico l’uno, direttore tecnico l’altro, hanno messo insieme il talento innato per l’arte e le competenze specialistiche per rendere omaggio all’indimenticato maestro Uccio Scarpina, di cui Davide e Giovanni sono rispettivamente il figlio e l’allievo. Sin da ragazzini lo hanno affiancato nel suo laboratorio e per anni ne hanno assorbito le particolari abilità e i segreti della lavorazione, ma soprattutto l’amore incondizionato per un mestiere che richiede pazienza, e tanti sacrifici.
“Le figure principali del carro sono quelle dei tre pagliacci”, spiega il maestro Pacciolla. “Uno è seduto, gli altri due si affacciano dai lati. Quello seduto ha sulle spalle il maestro Uccio, rappresentato con una corona in testa perché era il re della cartapesta, e a un certo punto si alza in piedi, sovrastando tutto il resto e arrivando a un’altezza che supera i 20 metri”.
Uno dei ragazzi all'opera sul carro
Nelle mani i pagliacci hanno palloncini colorati, che rappresentano lo spirito allegro e spensierato del Carnevale. Quello spirito che vuole volare in alto e distillare dal cielo una gioia troppo a lungo sopita a causa della pandemia. Il maestro Scarpina annuisce, è riservato, parla poco, guarda il carro che sta prendendo vita: “Mio padre è stato un esempio per tutti noi. Lo abbiamo affiancato e abbiamo imparato da lui tutto quello che era possibile imparare sulla cartapesta. Ci è sembrato quasi naturale dedicargli il carro della ripartenza, arricchendolo proprio dei personaggi a cui lui era più affezionato e per cui viene ricordato: i pagliacci”.
Ma non ci sono solo loro in quest’opera complessa e raffinatissima, strutturata su più livelli di movimento e rotazione: ci sono anche i leoni e la carrozza di Cenerentola che guida tutto e tutti: “A rappresentare l’amore fiabesco ma anche l’amore universale, quello dei genitori, che con l’arte crea un intreccio raro e bellissimo”, spiega Pacciolla.
E anche se, a metà marzo, tutto era ancora in “bianco e nero”, tutto ancora racchiuso nell’immaginazione, in un’idea in divenire, il pensiero che dopo la sfilata tutta questa arte possa essere dispersa, stringe il cuore. Ma per fortuna, non è proprio così: “Ci sono alcuni pezzi dei nostri carri molto richiesti, che negli anni sono stati venduti in altre città, per altri carnevali”, conclude Scarpina, che è anche un apprezzato pittore. “E noi cerchiamo di riciclare alcuni materiali, come il ferro ad esempio. Ma il resto, purtroppo, non si può recuperare”.
Una ragione in più per non perdere le sfilate dell’insolito Carnevale primaverile di Gallipoli: la bellezza effimera di queste grandi opere d’arte, che può essere solo ammirata. E applaudita.