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Nel nome di... Mario. Il ritorno a Lecce di Perrotta, tra famiglia, teatro e psicanalisi

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“Dei figli” e “In nome del padre”, rispettivamente domenica 3 e sabato 4 aprile. Così la Stagione di prosa di Comune di Lecce e Teatro Pubblico Pugliese ritrova Mario Perrotta. L’attore e regista leccese, già Premio Ubu, tra i più noti esponenti del teatro italiano, torna nella sua città con due spettacoli della sua acclamata trilogia dedicata alle trasformazioni della famiglia contemporanea. E, per lui, ogni ritorno nel Salento è un appuntamento particolare, ancor di più se è nell’ambito di un tour teatrale che fa registrare ovunque “sold out”.

Mario Perrotta, intanto… bentornato. Quando sale sui palcoscenici di Lecce è sempre un piccolo grande evento e, questa volta, il Teatro Apollo la accoglie per ben due sere di fila, con due spettacoli differenti: “Dei figli” e “In nome del padre”. Lei quanto si sente figlio, di Lecce? Si è un po’ dimesso, da quella condizione, o il legame è sempre stringente?
Io mi sento e mi sono sempre sentito profondamente salentino. L’ho dichiarato una volta e per tutte con chiarezza nella mia trasmissione in Rai del 2007, e da allora nulla è cambiato. Purtroppo la mia presenza nel Salento e nella regione Puglia è molto rara, e non per mia volontà. Finalmente arrivo a Lecce, grazie all’impegno di questa amministrazione in collaborazione con il Teatro Pubblico Pugliese, in un contesto di prestigio, con due spettacoli e mi fa enormemente piacere perché nonostante tutti i successi raccolti in Italia e all’estero, resterò sempre figlio di questa terra. E a proposito del restare figli di qualcuno o qualcosa: credo di aver smesso da parecchio il mio ruolo di figlio nei confronti dei miei genitori ma credo che non smetterò mai quello di figlio del Salento.

La condizione di eterni figli che porta in scena è una rappresentazione sicuramente diversa dalle produzioni di teatro di narrazione che l’ha lanciata al grande pubblico. Ci sono addirittura tredici personaggi, che interagiscono tra di loro, anche tramite video. Qual è stata la scintilla che ha fatto scoccare l’idea di questo spettacolo corale?
In realtà dal teatro di narrazione mi sono affrancato abbastanza presto. Già con “Odissea”, nel 2008, mi ero alzato dalla sedia del narratore e avevo dato vita a un personaggio teatrale a tutto tondo. Poi sono seguiti altri spettacoli corali e, ironia della sorte, il primo Premio Ubu l’ho ricevuto per una trilogia in cui avevo messo in scena testi di Molière, Aristofane e Flaubert, con moltissimi attori. Ma continuo a portarmi addosso questa etichetta della narrazione. Questo spettacolo, comunque, nasce già pensato così in origine, perché avevo deciso che ci sarebbe stata una sorta di escalation. Nel primo spettacolo sarei stato da solo, nel secondo in tre e, nel terzo, appunto, siamo 13 personaggi per 11 interpreti. Gli interpreti sono tutti meravigliosi e, seppur virtualmente, porto con me in giro anche nomi potentissimi del teatro italiano come Arturo Cirillo e Saverio La Ruina, che sono personaggi fondamentali per lo svolgimento della storia.

In questo terzo capitolo provo a raccontare di quei 18 - 45enni italiani che non hanno alcuna intenzione di dismettere il loro ruolo di figli, nonostante l’anagrafe richiederebbe un taglio a quel cordone ombelicale. In questo, ovviamente, sono conniventi i genitori che consentono questa adolescenza eterna. Non sono cose inventate o presunte da me: ormai se ne stanno occupando sociologi, psicologi e psicanalisti perché è un fenomeno numericamente importante che sta portando la trasformazione antropologica. Nello spettacolo si ride molto, ma poi si torna a casa carichi di domande.



Ciò cha accomuna tutti i capitoli della sua trilogia dedicata alle trasformazioni della famiglia contemporanea, è il supporto del celebre psicoanalista Massimo Recalcati. Quanto è stata importante una consulenza “specialistica” nel tratteggiare i personaggi?
Quando ho pensato di iniziare una trilogia sulla famiglia contemporanea ho ritenuto opportuno avvalermi di una consulenza scientifica. Quale compagno migliore d’avventura potevo avere se non Massimo Recalcati? Con lui siamo amici da più di 10 anni, quindi non è stato un incontro dettato dall’occasione. Massimo mi ha delineato dei quadri molto precisi sulle disfunzionalità e le relazioni familiari contemporanei secondo ciò che può vedere ogni giorno nella sua pratica clinica. Io ho fatto un mix con ciò che vedo sotto la scuola di mio figlio frequentando i miei “colleghi” genitori, e ne sono nati i tre spettacoli.

Il mondo teatrale è stato il più “toccato” dalla pandemia. Quanto senso può avere assistere a uno spettacolo teatrale non in presenza? C’è qualche ispirazione “pandemica” dietro l’interazione con lo schermo nello spettacolo “Dei figli”?
Abbiamo pagato davvero con una clausura totale di un anno e mezzo. Pare che sia finita, anche se la mamma degli imbecilli è sempre incinta e, adesso, giochiamo un’altra partita, forse ancora più seria, quella con la guerra. Sono sempre stato dalla parte di chi sosteneva e sostiene che non abbia alcun senso il teatro a distanza, perché la compresenza è la sua cifra specifica. Quindi, per favore, no teatro a distanza; no a piattaforme dove inserire i propri spettacoli: perderemmo disastrosamente la partita con la televisione.

La compresenza e la commozione che si genera a teatro è, invece, impagabile: non c’è televisione, cinema o computer che possa tenere il passo con la potenza di quell’incontro. Nello spettacolo “Dei Figli” sicuramente c’è una modalità di relazione tramite lo schermo che abbiamo sperimentato a lungo nella pandemia ma, forse con lungimiranza, io avevo progettato lo spettacolo così com’è già nel 2018, immaginando che il cordone ombelicale mai reciso potesse esprimersi anche attraverso il contatto video. E in effetti oggi è drammaticamente così. Ho intervistato persone “costrette” ad accendere il computer tutte le mattine per fare colazione con la mamma e con papà dall’altra parte del mondo. Qualcuno degli intervistati mi ha detto: mia madre mi ha seguito con il computer fino in Giappone. Fate voi…

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