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Il sultano e l'odalisca

Un racconto di Annalisa Bari. Illustrazioni di Alberto Giammaruco

Alberto-Giammaruco
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La titolare del magazzino che noleggia abiti per mascherate, per ventennale esperienza, è in grado di capire al volo ciò di cui hanno bisogno i clienti. Lei è convinta che chi si maschera vada alla ricerca di qualcosa che lo faccia apparire, almeno per una sera, ciò che vorrebbe essere, e non è. Per questo è fornita degli abiti giusti per stupire, per far ridere, per impaurire, per dominare, per sedurre.

Il sabato grasso si presenta al magazzino una ragazza bruttina, deve andare al veglione dell’Ateneo - spiega - dove è d’obbligo essere mascherati e con la faccia coperta. Questa muso di coniglio non è mai piaciuta a nessuno - considera la titolare - quello che serve è qualcosa che le dia l’illusione di possedere un fascino irresistibile. Propone un abito da odalisca, vari strati azzurri trasparenti, appena punteggiati da paillettes argento, che danno l’illusione di un corpo attraente. Velo che copre capo e viso e lascia vedere solo gli occhi che, adeguatamente truccati, possono ammaliare. La ragazza è dunque soddisfatta.

Più tardi arriva un giovane sgraziato e timido, con la faccia di rospo. Alla sua attenzione la titolare pone un abito da sultano, luminoso e snellente, che attribuisce a chi lo indossa l’aria del dominatore. Anche lui è soddisfatto. Bene, la sera al veglione l’animatore invita gli uomini a disporsi tutti da una parte e le donne dall’altra. All’avvio della musica ogni cavaliere cercherà la sua dama in base alle affinità degli abiti e inizierà il suo ballo-gioco. Alla fine una giuria assegnerà un premio alla coppia più azzeccata e che si è meglio esibita.

Illustrazione di Alberto Giammaruco

Ed ecco scendere in pista il mago con la strega, Arlecchino e Colombina, il topo con la gatta, il cicisbeo e la dama, il cow-boy e la pellirossa, così via fino a coppie azzardate e improbabili. Ovvio che il sultano e l’odalisca si vengano incontro e si allaccino in un tango che carica di energia. Seguono altri balli, poi l’animatore dichiara finita la gara. Le coppie si sciolgono, molti tolgono la mascherina, hanno i volti fradici e disfatti.

Il sultano e l’odalisca continuano a stare insieme col volto coperto. Parlano di sé, dei loro interessi, si abbandonano al fou-rire. Prendono al bar una coca con la cannuccia, lui beve attraverso la fessura della mascherina, lei al di sotto del velo. Ballano per tutta la sera, ora sciolti, ora teneramente abbracciati. Un pensiero turba entrambi: prima o poi dovranno scoprire il viso e dissolvere l’illusione di piacere. Differiscono quel momento.

L’aria è pregna di fiati, di sudore, di polvere di coriandoli, di profumi stantii; il respiro di lui si condensa sotto la maschera, il mascara di lei cola sotto il velo. Non hanno vinto la gara, ma che importa. Dopo le due di notte, la sala si vuota. Il sultano accompagna l’odalisca all’auto, ancora per poco sarà bellissimo per lei. E lei per lui. "Vuoi che mi tolga la maschera? - azzarda lui - non sarò molto presentabile". "Anch’io non sarò al meglio", tentenna lei. "Però dovremmo conoscerci, non credi?" "Domani, meglio domani. Al bar dell’Ateneo, alle undici. Io avrò un giaccone bianco e una sciarpa verde". "Io un giaccone nero e la sciarpa gialla".

Il giorno dopo al bar ci sono tutti e due, ma nessuno ha indosso gli abiti-segnali. Si guardano intorno senza darlo a vedere, cercando di percepire un gesto, una risata, un tono di voce. Il bar è affollato e chiassoso, è impossibile riconoscere l’altro senza farsene accorgere. Bisogna rinunciare. Ma forse è meglio così: portarsi a casa il muso di coniglio e la faccia di rospo, lasciando intatto il sogno di una notte di carnevale.

 

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