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Il critico Bodini

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Sporcarsi le mani, scendere a patti con una realtà impura, aprirsi alla vita e alla comunità degli uomini. Era questa la funzione della letteratura per Vittorio Bodini, poeta e cantore del Salento, ispanista per vocazione e vicissitudini, letterato inguaribilmente innamorato di quell’Europa multiculturale e multilinguistica che maneggiava con talento e sognava di importare nella sua città.

È il Bodini critico, anzi “lettore-critico, un critico partecipe, che instaura un rapporto diretto con gli autori”, quello che trapela dagli scritti raccolti e curati da Antonio Lucio Giannone nel prezioso volume metaletterario “Allargare il gioco”, metafora presa in prestito dal gioco d’azzardo, con la quale Bodini ci dice che la letteratura serve proprio a questo, “includervi tutte le impurità, tutte le retoriche: e vedere poi se si è capaci di bruciarle”.

Prima fra tutte, la retorica del suo povero Sud, auspicando un rinnovamento del linguaggio, una riflessione più concreta e autentica su questa estrema provincia meridionale, un Sud “non convenzionale o di maniera, ma che è un insieme di realtà e di fantasia, di storia e di mito, di presenza e di memoria, un Sud da lui inventato”, come scriverà poi a Oreste Macrì, un Sud “mio come le mie viscere”.

Un testo magistrale di letteratura comparata, ma anche una raccolta quasi di confessioni del più europeo dei poeti salentini, che ci racconta delle letture che l’hanno formato, le stroncature della “letteratura cafona”, gli innamoramenti e le delusioni, e di una vita vissuta per la poesia.

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