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A Carovigno, nel castello dove la principessa ritrovò la felicità

Il Castello domina dall'alto la Carovigno di oggi che continua ad “avvoltolarvisi” intorno con discese dolci di stradine strette e il mare che occhieggia all’orizzonte.}

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"Volevo essere felice, dominare, decidere, volevo spezzare tutte le catene che mi tenevano prigioniera”. Scriveva così, nel 1930, la contessa Elisabetta Schlippenbach Dentice di Frasso nelle sue memorie di 58enne ritrovate casualmente in una cartella rivestita di seta verde. Elisabetta ripercorreva il dolore e le amarezze che la portarono a ribellarsi e a lottare strenuamente per la propria felicità. La sua storia e quella del suo amato Alfredo riecheggiano ancora tra le stanze ormai vuote del castello Dentice di Frasso di Carovigno, maniero di proprietà della Provincia di Brindisi in uso al Comune e affidato alle cure dell’associazione Le Colonne le cui guide conducono con passo leggero alla sua scoperta.

Il Castello domina dall'alto la Carovigno di oggi che continua ad “avvoltolarvisi” intorno con discese dolci di stradine strette e il mare che occhieggia all’orizzonte. Ma il particolare e bel maniero difende e protegge la pianura fin dall’epoca normanna così come testimonia una delle tre imponenti torri. La Storia, il tempo e diverse famiglie nobili hanno attraversato e radicalmente modificato l’antica struttura ma più di tutte è probabilmente la vita di Elisabetta Schlippenbach ad aver lasciato il segno tra queste mura. Nata nel 1872 a Gratz, in Austria, non ancora 17enne fu costretta a sposare un uomo 15 anni più anziano ma, dopo un figlio e 10 anni di matrimonio infelice, Elisabetta decise per il divorzio condannandosi così alla separazione dal figlio imposta dalle leggi austriache dell’epoca, la perdita di ogni privilegio e l’eterno biasimo della famiglia.

Il vero amore e il matrimonio finalmente felice arrivarono nel 1905 con Alfredo Dentice di Frasso e l’anno successivo, dopo averlo ristrutturato, i novelli sposi si trasferirono nel castello carovignese ricevuto come dono di nozze. La contessa fece rivivere ogni ambiente e la sua stessa presenza sembrò donargli una nuova personalità insieme a un verdeggiante parco al quale si accede da un cunicolo che portava anche a un giardino e un orto botanico.





Il possente edificio aveva definitivamente smesso gli abiti dell’originaria funzione difensiva e indossato quelli di nobile residenza che fino al 1961 ospitò personaggi illustri come Guglielmo Marconi e il re d’Italia Umberto I di Savoia. Ma la nobile coppia non era arroccata tra mondanità e ricchezza, tutt’altro. Nel 1926, per risollevare l’economia del paese, in alcuni locali del castello il conte e la contessa diedero vita a una scuola di filatura e tessitura che produsse pregiate stoffe fino al 1955. Il loro spirito rivive così visitando questi ambienti al primo piano, quello nobile. Il percorso inizia dalla parte più antica: la sala d’ingresso, oggi sede di mostre d’arte, la sala di rappresentanza che conduce anche a quella che i carovignesi chiamano la “torre a mandorla”, ovvero la torre ogiva di epoca normanna sulla cui porta si legge: “quid est veritas?” (“che cos’è la verità?”, la frase dal Vangelo secondo Giovanni che Ponzio Pilato pronunciò durante l’interrogatorio a Gesù), un monito o un invito alla conoscenza per quella che in seguito diventò la biblioteca privata del conte.

Prima di procedere è bene affacciarsi dalla loggia arcata dove si dice che la contessa amasse scrivere e intrattenersi, per poi rientrare attraversando la “sala Loffreda-Tomacelli”, la sala dei giochi e la stanza della torre tonda. Da qui si sviluppa la parte del castello che abbracciava la quotidianità della coppia nei loro anni insieme: la sala dei conti, il guardaroba, lo studio privato del conte e le camere da letto. La contessa Elisabetta perse la vita in un incidente stradale nel 1938 ma suo figlio Paul, appena maggiorenne, l’aveva già raggiunta a Carovigno scegliendo di vivere con lei. Il suo tenace sogno di felicità non si tramutò in realtà come per le principesse dei castelli incantati bensì sfidando le regole e le imposizioni della società e del suo tempo.








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