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Homo sapiens sapiens sapiens - Luigi Presicce in mostra a Palermo

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L’artista salentino, da sempre attento nella sua ricerca ai simboli e ai i segni attinti all’immaginario popolare e folklorico di civiltà stratificate e mescolate dalla storia, attraverso linguaggi combinati tra performance e installazioni viventi, evocando esoterismo e metafisica, questa volta si sofferma sul principio che lega la specie umana all’evoluzione. E lo fa riesplorando il terreno fertile del segno pittorico a cui, negli ultimi tre anni, è tornato ad accostarsi come pratica artistica e cognitiva di una realtà che appare di segno inverso, involutiva. Il presente oscuro e nebuloso, più prossimo all’idea di disgregazione, prevedibile ma non calcolata da secoli di antropocentrismo, si rivela cornice all’interno della quale pensare all’uomo o come una specie eletta destinata a sopravvivere alle sue stesse macerie, o ad estinguersi. Non è la risposta da cercare, probabilmente, ma il beneficio di un dubbio circa un essere senziente ed evoluto che sembra precipitare indietro, o forse sta cambiando forma. Così il segno si fa vivido e saturo delineando i contorni e i profili di personaggi estratti da un bestiario distopico di un futuro che non c’è.

Esseri ibridati, zoomorfi, flessuosi, eppure algidi, rimangono in una soglia ambigua tra espressioni grottesche e un’aura mutuata da una qualche santità bizantina irrorata di luce al neon. Non è chiaro se si tratti di nuove derivazione genetiche, di uno sguardo intuitivo su un futuro prossimo venturo o di totale deriva. L’antropocentrismo sembra essere finito da un pezzo in virtù della coesistenza con altri esseri animali, vegetali o combinati da materia artificiale. Le pennellate dai colori accesi, modulate da toni di luce declinati da punti di osservazione mai uguali, pongono al centro esseri indefiniti, organicamente indistinti e un po’ caricaturali. L’uomo, o chi per lui, immerso in una natura artefatta da tinte pastello e contorni definiti, guarda in fondo al suo campo visivo, accigliato e con una piccola smorfia disegnata dalla peluria sul labbro e ha una sigaretta nella mano sinistra. Lo smartphone è alla sua destra, poggiato tra i rami come un frutto, vicino e pronto all’uso, seguito di creazione, principio ed estensione.
Dall’“homo religiosus perché symbolicus”, ovvero percettore di manifestazioni o eventi della natura, definite dallo storico delle religioni M. Eliade “ierofanie”, manifestazione di cose sacre, siamo parecchio distanti. Il narcisismo da specchio riflesso è stato sintetizzato da altre superfici, quelle degli schermi, ed è divenuto soggetto- oggetto di una iper-connessione. Cosa rimane allora dell’umano se non gli strumenti gestuali, come la pittura stessa? Come afferma lo stesso artista: “La pittura è stata per me sempre una risorsa inesauribile di scoperta e forse uno dei pochissimi modi che ho avuto per avvicinarmi all’essere umano”. (Lara Gigante)
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