Radicenomade di Isabella Faggiano.  La bellezza rubata alla polvere

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Gioie, monili, tesori: anche i sinonimi più ricercati si addicono ai gioielli di Isabella Faggiano, mente e mano creativa di Radicenomade. Un progetto che sembra discendere da un tacito patto con Madre Natura, da un’intesa profonda con ogni forma di vita. L’atelier di Isabella è tutt’uno con la sua casa, a San Cesario di Lecce in via Angelo Russo 29, a pochi passi dal palazzo ducale. Varcata la soglia dal portone possente, delle arnie dipinte dal tempo danno il benvenuto, ancora vuote: “Vengono da Roma, dal set dell’ultimo film di Nanni Moretti”, spiega Isabella, “ma a primavera accoglieranno migliaia di api”, una volta trasferite nella campagna del suo compagno Emilio de Matteis, apicoltore e ulivicoltore. Al primo piano, la porta è già aperta su un salotto colmo di meraviglie, dove ogni oggetto, ogni minuzia ha il suo posto speciale. Un’imponente libreria asseconda il perimetro della stanza e accoglie, tra i volumi, installazioni che evocano scenari domestici, dove collane, orecchini e anelli di Radicenomade dialogano con mattonelle, lucchetti arrugginiti, scatole di latta, legni stagionati, fotografie in bianco e nero, una piccola sveglia ferma sull’una e tredici minuti: tutti oggetti che, citando Man Ray, sanno “dilettare, disturbare, disorientare o far riflettere”. Qui si dispiega il metallico reame di api dalle ali d’oro e piccoli colibrì montati su catenine punteggiate di bacche perlacee, mughetti di bronzo con pistilli preziosi, foglie lucenti piegate in armoniose geometrie e giochi di riflessi su forme archetipiche.

Isabella prende tra le dita un origami a forma di gru e una barchetta in miniatura che sembrano fatti di carta, ma hanno invece la tempra di una calda lega metallica. “Non ho sempre fatto questo”, racconta, “sono originaria di Salice Salentino e dopo il liceo classico ho studiato Architettura a Roma, ho fatto anche la stilista e la costumista”, lavorando a lungo come scenografa nella Capitale, prima di scoprire la vocazione artigiana e far ritorno nel Salento, per amore. “Quando creavo le ambientazioni sui set cinematografici, mi era concesso di aprire i cassetti più segreti e riportarne alla luce il contenuto ormai dimenticato; ho sempre amato andare per mercatini, esplorare le case abbandonate e recuperare oggetti condannati all’oblio”. Sui bigliettini da visita di Radicenomade, c’è scritto “gioielli e memorie rubati alla polvere”. “Rubati” ovvero restituiti al mondo, perché non è la nostalgia ad animare le creazioni orafe di Isabella, non un gusto decadente e malinconico; piuttosto, c’è la serena consapevolezza che ogni cosa ha un inizio e una fine, ma può aspirare ad essere eterna, universale, quando diventa un’opera d’arte. Con la danza dei suoi gesti artigiani, incastona memorie in ogni manufatto, soffiando una vita nuova nelle leghe che modella. Come Re Mida, ma al contrario: se il mitico sovrano trasformava ogni cosa in oro, infatti, lei ha il potere di mutare i metalli in qualsiasi forma desideri.

Tra piccole luci e libri sul linguaggio dei fiori, in una teca di vetro c’è il gioiello che la cantante Enza Pagliara ha indossato sul palco de La Notte della Taranta a Melpignano, lo scorso 24 agosto. Un vero e proprio ex voto, cuore sacro di metallo lucente modellato per raccontare in un colpo d’occhio il dramma della Xylella fastidiosa, che nel Salento ha fatto strage di uliveti e messo in ginocchio i produttori di olio. Frutto della collaborazione artistica tra la designer e la cantante, il ciondolo è tra i più grandi che Isabella abbia realizzato e racchiude un messaggio di protesta e speranza per una terra vessata da troppi mali: durante il “concertone” finale del festival, sul petto di Enza batteva questo cuore radioso fatto di leggere foglie d’ulivo abbracciate a una corona.

Dalla stanza accanto arrivano le note di Ludovico Einaudi, basta seguirne il richiamo per raggiungere il laboratorio orafo in cui prendono vita le creazioni di Isabella. Un salottino, due postazioni complementari addossate alla parete e una credenza su cui si srotolano nastri e fagottini di stoffa. “Ricevere un dono Radicenomade è come ricevere una lettera d’amore”, dice descrivendo il suo personalissimo packaging, “ogni confezione è diversa dalle altre perché questi sacchetti a forma di lettera sono cuciti a mano con scampoli di tessuto”. Ma cosa ci fa qui una boccetta di Patchouli Elixir? “Prima di consegnare un gioiello, spruzzo sul pacchetto un po’ di profumo della nonna perché voglio che chi lo riceve sia avvolto da una sensazione di familiarità, di calore. E poi aggiungo una poesia, una citazione, che evochino memorie e paesaggi”. Alcuni bozzetti sono sul banchetto da lavoro a più piani estraibili, accanto a lime, bulini e altri strumenti di precisione, compagni irrinunciabili di Isabella. Segni netti e decisi tracciano sui fogli le forme dei futuri gioielli, talvolta a grandezza naturale, accompagnati da appunti e misure. “Non amo sprecare i materiali e mi piace l’imperfezione”, prosegue, “i miei manufatti non sono mai uguali tra loro. Realizzo tutto artigianalmente con varie tecniche, come la microfusione”. Il primo passo per la creazione di un gioiello è, dunque, la modellazione di un prototipo in cera, da cui vien tratto un calco in silicone e infine la forma in metallo. Ma a questo punto le mani hanno ancora tanto da fare, da limare e raffinare, da aggiungere e assemblare. Sul tavolino a sinistra, c’è un universo in miniatura di pietre e perle, gemme e anellini metallici, la tavolozza materica di Radicenomade. Qui è tutto un germogliare di minuterie d’altri tempi che suggeriscono idee nuove: “Le api sono stati i primi manufatti che ho realizzato, ma accanto ad animali e piante, mi ispirano anche gli oggetti che ho intorno, come le antiche cementine pavimentali di questo palazzo. Nei gioielli ho riprodotto alcuni dei motivi presenti in casa, in cui compare un motivo centrale e una cornice geometrica”.

Lo stile di Isabella Faggiano parla una lingua meticcia che dà voce, in primo luogo, alla ricerca intima, personale di una donna sensibile ed empatica, capace di viaggiare idealmente e con disinvoltura tra passato e futuro, tra le grandi epoche della storia dell’arte e i più remoti punti del pianeta. In ogni creazione si sovrappongono molteplici livelli di significato e l’armonia dei contrasti. Uno degli ultimi progetti, non ancora presentato al pubblico, è ispirato a un autoritratto di Frida Kahlo, in cui l’artista messicana si rappresenta con rami spinosi intorno al collo e un colibrì al centro. Ed ecco comparire, in questo laboratorio, la stessa collana del dipinto, realizzata in collaborazione con un’artigiana del macramè.
Isabella, che dice di non prendersi mai troppo sul serio, sa addomesticare il passato e tradurlo in presente, precorrendo il futuro con manufatti che non temono il tempo né le variazioni del gusto: “Le mie cose piacciono ai giovani ma anche alle signore più anziane; dicono che assomigliano tanto ai gioielli delle loro nonne”. Davanti alle gioie, ai monili, ai tesori di Isabella Faggiano, non è difficile essere sorpresi da un dejàvu, scoprirsi ammaliati dal ricorrere di simboli profondamente radicati nell’immaginario di ciascuno. È facile ritrovare se stessi e la propria storia. Può succedere, insomma, di infilare al dito un suo anello e non lasciarlo più.

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