Rinascere dalla xylella: nuove idee per la cura di territorio e paesaggio
È stata una “esplorazione” lunga cinque mesi. UniSalento e gruppo Sella, con il bando “Rinascere dalla Xylella”, hanno scandagliato idee e progetti innovativi per “rilanciare l’economia e il territorio pugliese, contrastare il contagio da Xylella e rigenerarne i terreni colpiti”.
Tra gruppi di studenti e ricercatori, start up e imprese, 40 progetti (36 dei quali italiani e 29 pugliesi) hanno risposto alla “call for ideas” patrocinata dalla Regione Puglia. Uno dei tasselli, secondo il rettore di UniSalento Fabio Pollice, per “incubare imprese agro-ambientali per la rigenerazione sostenibile dell’agricoltura e del paesaggio, nei territori colpiti dalla Xylella”. Dallo scorso aprile, un comitato di esperti dell’università, Banca Sella, Sellalab (piattaforma di innovazione del gruppo Sella) e Dpixel (incubatore di progetti imprenditoriali innovativi) ha selezionato nove gruppi e, dopo una fase di perfezionamento e integrazione delle proposte, sono giunti alla scelta definitiva dei tre vincitori: “Vax”, “Olivami” e “XFarm”, rispettivamente nelle categorie “team di ricercatori e studenti universitari”, “startup e team imprenditoriali”, e “Pmi”. Oltre a ricevere il premio in denaro potranno accedere a servizi e consulenze, e misurarsi nella rete dei partecipanti all’iniziativa.
VAX
Un lavoro di ricerca che connette l’ingegneria aerospaziale alle scienze agrarie, con l’obiettivo di controllare la popolazione della “sputacchina” e innovare le agro-tecnologie per aumentare il livello di produzione ecosostenibile di cibo. È questo “Vax”, acronimo di “Vibrations Against Xylella”, che condensa in una sigla il progetto innovativo nato per ridurre il contagio da Xylella senza utilizzare la chimica.
La sperimentazione è “campano-pugliese”, e nasce dall’incontro tra Vincenzo D’Avino e Stefano Guagnano, ingegneri aerospaziali e borsisti di ricerca al Distretto tecnologico aerospaziale di Brindisi, con Francesco Balzano, laureando in Agronomia con specializzazione in agribusiness. Al centro, il comportamento del “Philaenus Spumarius”, la famigerata “sputacchina” diventata il principale vettore di diffusione del contagio. La “Vibrational Mating Disruption (VMD)”, tecnica utilizzata per controllare la popolazione degli insetti, interferisce sul loro accoppiamento e disturba le vibrazioni che maschi e femmine emettono quando sono sessualmente maturi.
La sperimentazione, già applicata in laboratorio anche sulla cicalina vettore della flavescenza dorata della vite, sarà implementata con l’utilizzo dei laboratori di UniSalento. Vibrometri laser, shaker, sorgenti sonore, sonde di pressione e strumenti di acquisizione ed elaborazione dati serviranno alle prove di vibroacustica, per studiare le frequenze proprie degli organismi. Gli studi potrebbero essere anche applicati per condizionare gli spostamenti dei maschi delle sputacchine per attirarli e imprigionarli, come già avviene per la mosca dell’ulivo. “Investire con forza in ricerca e sviluppo è centro nevralgico del nostro progetto, la gestione integrata degli animali infestanti”, dicono i tre ricercatori, illustrandone l’innovazione, “è la prima soluzione senza chimica di controllo dei parassiti applicata al problema della Xylella”.
Il percorso di incubazione del bando ha poi fatto il resto: “valorizzare e strutturare le nostre idee, migliorarle nei momenti di accompagnamento e confronto, e condensarle in una sintesi efficace e concisa”, dicono. Il contesto è la condivisione della strategia dell’Unione Europea “Farm To Fork”. Perseguire cioè entro il 2030 l’obiettivo della produzione sostenibile del cibo, con la riduzione dei pesticidi e dei fertilizzanti, con l’estensione del regime di agricoltura e acquacoltura biologica. Il tutto con un lavoro sinergico e integrato, che non può che nutrirsi di progetti di ricerca. Il futuro certamente non termina con “Vax”, “siamo alla ricerca e alla formulazione di nuove idee”, dicono i tre ricercatori, “che potrebbero estendersi allo studio della biologia e ai meccanismi di popolazione di altri vettori, e quindi ad altre malattie”.
OLIVAMI
Con adozioni “a distanza” si ricostruiscono gli uliveti distrutti dalla Xylella. Il “bosco” del Salento rifiorisce grazie all’olivicoltura partecipativa. Con il supporto dei consumatori, che aiutano i contadini a ritornare a coltivare la terra.
Sono già tremila gli ulivi donati ai piccoli agricoltori salentini grazie a “Olivami”, il progetto di “olivicoltura partecipata” che contribuisce alla rigenerazione del paesaggio disseccato dalla Xylella grazie alle “adozioni a distanza”. Il suo cuore, in cui lo scorso gennaio si è iniziato con la messa a dimora di oltre 13mila piantine, è un grande campo nei dintorni di Carpignano Salentino, ma i terreni si estendono anche tra Martano, Serrano e Melendugno grazie a una rete di 13 aziende.
La loro coltivazione avviene grazie al supporto dei proprietari “adottivi”. Con il proprio contributo economico aiutano la cura e la raccolta dei frutti, ma soprattutto sostengono l’acquisto di altre piante da donare a piccoli agricoltori che, a loro volta “potranno continuare ad occuparsi della campagna legata alla storia dei genitori e dei nonni”. Olivami, giovane associazione no profit con sede a Martano, ha unito le forze perché non si rimanesse inermi di fronte alla tragedia ambientale che non solo ha messo in ginocchio il settore olivicolo, ma ha tagliato quel ponte tra generazioni di salentini, costruito sull’identità di vivere nella “terra dell’olio”, e crollato inesorabilmente di fronte alle tristi immagini di disseccamenti ed estirpazioni.
L’obiettivo è molto semplice: “riforestare gli uliveti del Salento”, spiegano i volontari, e in questa espressione è esplicito il riferimento alla ricostruzione di quel vero e proprio “bosco” di ulivi verdeggianti che costituiva la principale fonte locale di compensazione di CO2. I numeri in crescita scorrono sul sito dell’associazione. Insieme a commenti, recensioni e all’elenco di chi sostiene l’iniziativa, nata “semplicemente parlando con le persone”, dicono. Con i tanti che, sconcertati di fronte alla visione della campagna ingrigita e secca, hanno chiesto cosa si potesse fare per “aiutare il Salento a rinascere, a supportare l’agricoltura e i contadini che volevano ripristinare gli uliveti”.
Sono tanti, da diverse regioni d’Italia e dall’estero, gli “alleati” che si sono aggiunti nel tempo. Tra queste anche le prime aziende, che hanno già costruito il proprio “giardino aziendale”. “Basic”, “silver”, “golden” e “platinum”, sono i “piani di adozione” con cui è possibile diventare sostenitori. Scegliendo cioè il numero degli alberi da adottare e ricevere in cambio ogni anno una quantità di olio biologico, la possibilità di dare un nome, visitare il proprio ulivo e anche prendere parte alle giornate di raccolta. Essere cioè coinvolti in “una nuova forma di olivicoltura sostenibile e partecipativa”. Il tutto con il contributo di nuove tecniche e tecnologie agricole innovative che favoriscono il basso impatto ambientale, e con il valore della biodiversità vegetale, favorita attraverso la piantumazione anche di fichi, lecci, querce e more lungo il perimetro degli uliveti.
XFARM
Tra San Vito e Latiano, una “agroforesta” nasce nei terreni sottratti alla malavita. Un
modello di coltivazioni consociate, che imita gli ecosistemi naturali, e trasforma la fitopatia
della Xylella in un’occasione per ripensare il paesaggio.
Cinquecento piante di carrubi, sughere, lecci, bagolari, gelsi, giuggioli, melograni, fichi e corbezzoli sono già state messe a dimora. Così ha preso forma l’agroforesta di XFarm, nelle campagne tra San Vito dei Normanni e Latiano. Nello scorso marzo, con due giornate “pubbliche” di piantumazioni, un ulteriore tassello ha arricchito il lavoro della cooperativa Qualcosa di Diverso, che dal 2017 trasforma i cinquanta ettari di contrada Paretone confiscati alla mafia, in un “grande parco agricolo pubblico, un’azienda agricola “manifesto” di buone pratiche agro-ecologiche e sociali”. Marco Notarnicola lo ricorda con orgoglio. È il responsabile di XFarm Agricoltura prossima, insieme “azienda agricola, ecologica e sociale capace di generare lavoro, benessere per la comunità e miglioramento dell’ecosistema”.
È complessa la visione di XFarm, integra in un approccio organico i tanti stimoli ambientali, sociali e culturali connessi nell’agricoltura. E mentre il disseccamento degli ulivi sale inesorabile verso il nord della Puglia, questa complessità ha permesso di maturare la consapevolezza che il disastro paesaggistico, economico e sociale generato dalla Xylella può essere considerato “una grande opportunità per ripensare il nostro paesaggio in una maniera più resiliente, inclusiva e sostenibile”.
Sono le parole dell’ecologo Jacopo Volpicelli che aiutano a conoscere questo sistema che “imita gli ecosistemi naturali e aumenta i benefici sociali, economici e ambientali dell’uso della terra a tutti i livelli”. Introduce cioè alberi perenni nelle colture, in una sinergia tra le funzioni agricole, forestali e zootecniche che aiutano a tutelare il suolo. L’agroforesta di XFarm è nata durante il percorso di “Scuola Radicale”, un laboratorio di apprendimento e sperimentazione di buone pratiche agro-ecologiche e sociali che, diversificando le produzioni aziendali, promuovono la più generale diversificazione del paesaggio, in alternativa all’agricoltura intensiva basata sulla monocoltura dell’ulivo.
Il primo prototipo di un ettaro, che integra un uliveto secolare esistente, è stato costruito in collaborazione con Università degli Studi di Foggia e ZeroCO2. Grazie al premio ricevuto, ora la prospettiva si amplia. La sperimentazione sarà estesa su ulteriori cinque ettari per elaborare, anche grazie al rafforzamento dei partenariati pubblici e privati, un modello agricolo più forte, impattante e, soprattutto, replicabile su scala regionale.