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Per la stessa ragione del viaggio
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Se il disco sia più jazz, più fusion, più avanguardista o più elettrico, rimane una “Anwerless question”, come spiegato anche nella seconda traccia, improvvisa e imprevista, che lascia pochi punti fermi. O come narrato dalle ariose sensazioni lasciate da “The magician whistler”, o ancora sui richiami latini di “Endless mirror”, con una chitarra a solleticare ricordi di flamenco.
A chiusura di tutto c’è “They say it’s a ballad”, che sintetizza in maniera emblematica l’idea madre, alla base delle ragioni del viaggio. Una ballata che non è una ballata, un nome che rimanda a Coltrane (“Kulu sé mama” era proprio un album del sassofonista statunitense) senza che la musica proposta sia necessariamente vicina a ideali classici e bebop. Perché, in fondo, si tratta di un viaggio nel tempo e nel gusto, tra sedili di velluto e luci soffuse, su un treno che attraversa l’Europa, in maniera elegante e raffinata.