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Gallina vecchia fa uovo perfetto, l'allevamento sostenibile di Giulio Apollonio

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Anche a sfogliare meticolosamente le pagine di un dizionario, trovare il nome collettivo riferito alle galline è impresa ardua. Se è scontato pensare a greggi e mandrie, o anche a stormi di altri volatili, nel caso dei polli la lingua italiana denota un certo limite. Tant’è che è impossibile trovare il termine giusto per descrivere il colpo d’occhio della marea di galline al pascolo ospitate dall’azienda “UoVo Perfetto” di Cutrofiano. Chissà se, a cercare bene tra di loro, non si riconosca Gaia. Cappello di lana sulla cresta, foulard sulle ali e occhioni vispi da sognatrice, era la temeraria protagonista del film d’animazione “Galline in fuga”. Conquistarono ostinate la libertà dall’allevamento della famiglia Tweedy, dove l’alternativa a produrre uova senza sosta era il triste destino di un collo tirato. E se, con un pizzico di dispiacere, si dovesse scoprire che Gaia e le sue amiche non sono a Cutrofiano, certamente UoVo Perfetto sarebbe il posto dei loro sogni, quello per cui varrebbe la pena lottare per raggiungerlo, dove vivere secondo natura e godersi la vecchiaia.

Si trova in contrada Cafazza, sulla parallela della provinciale che collega Noha a Collepasso, e già il cartello appeso all’ingresso riporta l’eloquente slogan “#SaveTheChicken” che rende chiaro come “salvare le galline” sia tra le priorità dell’azienda. Da qui, alle spalle di un riparo per gli attrezzi agricoli, si apre un terreno brullo di oltre due ettari, qualche alberello, una serie di abbeveratoi distribuiti di tanto in tanto e oltre mille galline completamente libere. Protette solo dal filo elettrificato lungo il perimetro e dai caseggiati in legno, dove trovano autonomamente riparo per la notte e per deporre le uova.

È novembre, il cielo minaccia un nuovo temporale dopo un paio di giorni di maltempo. “Qui le galline sono fuori anche se piove o ha piovuto. Anche negli allevamenti bio, quelle pochissime volte l’anno che le fanno uscire, lo fanno solo quando il terreno è assolutamente asciutto, non fa vento, non piove e non fa freddo. Siamo l’unico allevamento di galline ovaiole al pascolo, perché vivono fuori, hanno le casette dove si riparano solo quando il tempo è veramente impervio”. Giulio Apollonio, trentatré anni, racconta la storia della sua giovane azienda. Indossa gli stivali di gomma per muoversi anche nella fanghiglia dell’ingresso, e passeggia nella campagna attorniato da centinaia di pennuti.

Ce ne sono di bianchi e marroncini. Quelli neri, visti di profilo, riflettono sfumature lucide verde petrolio. Di tutti, Giulio fa innanzitutto notare la diversa colorazione della cresta. Il rosso di quelli più giovani, dice, è più sbiadito perché lo stress degli allevamenti intensivi li rende anemici. Da lì, infatti, provengono tutti gli animali, che vengono acquistati e salvati prima di essere macellati perché considerati ormai poco produttivi. “Lì dentro, a diciotto mesi vengono considerate vecchie, invece in natura una gallina può arrivare a vivere anche dieci anni” dice, e sarebbe curioso riuscire a cogliere lo stupore di alcune di loro, spennacchiate e claudicanti, nel momento in cui realizzano di non trovarsi di fronte alla mannaia bensì in un Eden insperato, dove continuare a vivere fino al naturale sopraggiungere della morte.

“Gallina vecchia fa buon uovo” e sarebbe il caso di dire, banalmente, anche solo osservando l’intensità del colore della cresta, quasi fosse un termometro, si può interpretare il grado di benessere dell’animale, il suo stato di agio, il suo lento riavvicinamento a una dimensione “naturale”. Giulio si sofferma sul concetto di ecosostenibilità: “È importante ricordare ai consumatori che l’uovo è un prodotto stagionale, magari per gli ortaggi è diverso perché fuori stagione il prezzo sale. Invece per l’uovo viene mantenuto sempre costante. E così, se paghi un euro e venti al pacco, il resto lo stai lasciando come conto all’ambiente”. Si riferisce al fatto che con l’arrivo del freddo invernale, le galline vanno incontro a un inevitabile calo della produzione. La sua consapevolezza, continua, è nata sul campo: lavorava nella ristorazione e comparando prezzi e qualità ha voluto approfondire la conoscenza degli allevamenti che venivano definiti sostenibili, “mi sembrava impossibile trovarne uno completamente all’aperto e ci ho voluto provare”.

È così che la nascita di UoVo Perfetto, nell’estate del 2017, è stata quasi un salto nel vuoto. Non esisteva una normativa specifica e addirittura ci sono state difficoltà a trovare un veterinario specializzato in avicoli, perché la didattica universitaria contempla solamente gli allevamenti nei capannoni. Con l’aiuto della laurea in biotecnologie, per Giulio si è avviato un periodo di autoformazione per sovvertire la consuetudine con cui viene interpretato l’allevamento, laddove si fa riferimento a valori standard per quanto riguarda la temperatura dei ricoveri, la durata dell’esposizione alla luce, la tipologia della dieta a base di mangimi e, ovviamente, l’uso massiccio di antibiotici.

“Queste sono le sopravvissute, perché c’è una grandissima moria appena arrivano. C’è un problema enorme, c’è un problema di selezione genetica. Da un secolo a questa parte abbiamo creato animali fatti per produrre uova tutti i giorni, in quelle condizioni. Ma sono animali farmacodipendenti”. Soprattutto non sono adatti al pascolo, continua a spiegare, “perché hanno gli arti fragili, piumaggi che non si sviluppano in inverno, il sistema digerente ormai inadatto alla fibra eccessiva, il sistema immunitario debole”.

Conforta dunque sentire dei primi approcci avuti con la facoltà di veterinaria di Bari e con il Cnr di Lecce, “sono molto incuriositi e stanno cercando una razza rustica che sia geneticamente adatta al pascolo, perché non esiste al momento una razza che dà il meglio di sé in libertà”. E se al momento non esiste un’alternativa per chi decida di organizzare un allevamento di questo tipo, la si può creare solo con l’appassionato lavoro di incroci e ricerca, partendo dal recupero di razze antiche che fortunatamente ancora si trovano nelle masserie. “A volte”, continua a raccontare Giulio, “nei nidi sono state trovate delle curiose uova dal guscio verde. Abbiamo scoperto che fino a qualche secolo fa erano estremamente comuni, ed erano prodotte da una razza che si chiama Araucana. È sparita non perché non piacesse al consumatore ma perché erano galline selvatiche e non si adattavano all’allevamento nel capannone. Per questo le hanno scartate”.

Giulio insiste sull’ecosostenibilità, che passa necessariamente dalla tutela della diversità genetica, “bisogna riconoscere il valore al diverso”. Ed è ovvio che l’incentivo può venire solo dalla capacità critica dei consumatori. “Forse tutto questo può nascere adesso che c’è più attenzione a queste questioni. Sono i consumatori a tenere in piedi l’azienda”. Ovviamente fa riferimento a quegli acquirenti che decidono di spendere un prezzo leggermente più alto, e che capiscono come possa oscillare nelle diverse stagioni dell’anno. L’azienda li raggiunge con una piccola rete di negozietti locali ma soprattutto con le vendite online fuori regione, dove le uova sono consegnate in cassettine di legno. Ciascuna è avvolta con cura in un foglio di carta, con un disegno pastello di un pulcino accolto dall’ala di mamma chioccia.

Intanto, le galline razzolano attorno, per nulla disturbate dalla presenza umana tanto da beccare incuriosite perfino sulla gomma dello stivale. “Ha piovuto poco nell’autunno, quindi adesso mangiano un misto di grano e leguminose che diamo noi, altrimenti trovano da sole tra l’erba e i vermetti del terreno”. A lato della casetta, è parcheggiato un tagliaerba. Non appena la terra ritornerà umida, ci sarà di nuovo la crescita rigogliosa del prato, che neanche tanti animali basteranno a controllarlo. “Mantenerle libere significa avere una densità bassissima. Qui, dati alla mano, non abbiamo bisogno di dichiarare smaltimento di liquami, perché la concentrazione è in equilibrio con l’ambiente”.

Gli animali che zompettano al sole tiepido trasmettono un senso di rilassamento. Complice anche la profondità dello spazio, senza muri che chiudono il campo visivo. Per difendersi dai predatori, ogni giorno Giulio lascia qualche uovo inadatto alla vendita al di là del recinto, “la difesa migliore dalle volpi è non avere una volpe affamata vicino”, dice. Trasmette un messaggio di fiducia, la stessa che riserva nei confronti dei clienti. All’ingresso della proprietà, una cassetta di legno è la piccola “self farm”: ci lascia le uova al mattino e ognuno le può comprare lasciando il corrispettivo in denaro. Anche gli uomini sono invitati a prendere esempio dagli equilibri di convivenza praticati nell’allevamento. Fino adesso è andato tutto bene, “a volte trovo pure qualche soldo in più. Una volta, era il giorno di San Valentino, nella cassetta ho trovato anche un cioccolatino”. Un piccolo, affettuoso e anonimo segno di riconoscenza per il suo lavoro e per il suo rispetto, della vita e della natura.

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